Per la critica della concettualità politica moderna. Walter Benjamin e il monopolio della Gewalt.

Rose, Lisa (2017) Per la critica della concettualità politica moderna. Walter Benjamin e il monopolio della Gewalt. PhD thesis, University of Trento.

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Abstract

Se il compito che si prefiggeva Benjamin in Per la critica della violenza era l’esposizione dei rapporti che intercorrono tra violenza, diritto e giustizia, situare la relazione che lega questi tre concetti in un contesto storico-politico è lo scopo del presente lavoro. Il contesto storico-politico scelto è quello delle moderne democrazie occidentali. Nel primo capitolo, viene portato alla luce il rapporto tra il filosofo ebreo-tedesco Benjamin e il giurista Carl Schmitt, entrambi critici della breve – e travagliata – parentesi di parlamentarismo liberale che la Germania si era data con la Repubblica di Weimar. Si è individuato come luogo privilegiato attraverso il quale esaminare le divergenze e, in un senso molto peculiare, le somiglianze tra i due pensatori, nello stato di eccezione quale concetto-limite del diritto. L’ipotesi che si è provato ad avanzare nel corso del secondo e terzo capitolo è che il diritto, pur mantenendo la sua funzione inalterata – che è, per Benjamin, quella di essere strumento di oppressione –, ha, nelle sue realizzazioni concrete, delle peculiarità diverse a seconda delle fasi storiche e politiche in cui viene esercitato. Per analizzare i modi diversi in cui il diritto, a seconda della fasi storiche e dalle forme politiche in cui viene esercitato, fa presa sul vivente, si è partiti dalla cosiddetta «preistoria» del diritto, illustrata da Benjamin nel saggio dal titolo Franz Kafka. Per il decimo anniversario della sua morte, e, passando per Destino e carattere e per i saggi dedicati al linguaggio (Sulla lingua in generale e sulla lingua dell’uomo e Il compito del traduttore), si è arrivati ad analizzare le specificità prettamente moderne del diritto espresse in Per la critica della violenza. Non avendo Benjamin dedicato alcuno scritto alla successione temporale di sistemi giuridici, né avendo mai dichiarato di volerne delineare una storia, è con estrema cautela che abbiamo rilevato le caratteristiche delle diverse fasi del diritto (o temporalità giuridiche, come si è voluto chiamarle nel secondo capitolo) nella sua opera, senza giungere a tracciare un susseguirsi lineare da una all'altra, e evidenziandone, anzi, le sovrapposizioni e i rimandi. L’analisi della violenza giuridica – e della violenza pura che ha per compito la dissoluzione del legame tra quella e l’uomo – è stata riportata alla questione del monopolio della violenza da parte del diritto, tratto che Benjamin rinveniva nelle legislazioni europee a lui contemporanee. Nel secondo capitolo, si è cercato di rinvenire i riferimenti precisi alla situazione politica in cui Benjamin si trovava al momento della stesura del saggio, quindi alla Repubblica di Weimar e alla legislazione a lui contemporanea, oltre ad alcuni rimandi alla democrazia come orizzonte interpretativo della forma politica di riferimento. Sin dalle prime pagine del saggio, Benjamin riconosce di basare la sua Critica sulle legislazioni europee moderne. Secondo Benjamin, infatti, per essere compresa, la finalità della violenza deve essere posta in relazione con una fattispecie determinata di rapporti giuridici, ed egli dichiara che, «per semplicità», nel corso del saggio farà riferimento «alle presenti legislazioni europee». A partire dai rapporti giuridici moderni, Benjamin rintraccia una loro «massima generale», che riassume nella tendenza all’onnipervasività del diritto, riscontrabile anche nelle legislazioni attuali, oltre a citare esempi di violenza squisitamente moderni (la lotta di classe, i differenti tipi di sciopero, il servizio militare obbligatorio, le critiche ad esso – risalenti al periodo della Prima guerra Mondiale –, la polizia come istituzione moderna, i parlamenti). Una delle novità della concettualità politica moderna che abbiamo individuato è rappresentata dal fatto che, nella modernità, il potere politico non trova alcuna opposizione di fronte a sé, in quanto i singoli hanno riconosciuto come loro proprie le azioni di colui che detiene il potere supremo. È così legittimato il monopolio della Gewalt, in quanto fondato sulla volontà di tutti. Conseguentemente ha acquisito grande rilievo la preferenza accordata da Benjamin nel testo Per la critica della violenza alla polizia monarchica rispetto a quella democratica. In tale passaggio, Benjamin afferma che la polizia «nelle democrazie […] testimonia la massima degenerazione pensabile della violenza» – una presa di posizione che non può non sbalordire, e che rappresenta una scossa nei confronti dell’ordine di concetti attraverso i quali la società democratica si autointerpreta. Provare a darne ragione è stata l’occasione per testare la percorribilità di un’interpretazione del saggio volta ad individuare, in esso, i tratti specifici della modernità giuridico-politica, ma anche per tematizzare il monopolio della Gewalt da parte dello stato moderno e, coerentemente con gli obiettivi dichiarati del presente lavoro, per fuoriuscire dall’autoreferenzialità della forma politica democratica. Attraverso l’interpretazione di Jacques Derrida del passo, ma soprattutto nella mancata adesione alle sue conclusioni, si è tentato di dare ragione della posizione benjaminiana in termini di filosofia politica. Individuate le specificità del diritto e della forma politica moderni, abbiamo cercato di analizzare il concetto-limite di ogni teoria della sovranità, ovvero il concetto di guerra civile. Lo si è fatto a commento dell’ottava tesi sul concetto di storia, considerata l’ultimo atto della battaglia teorica che ha visto contrapporsi Carl Schmitt e Walter Benjamin intorno allo statuto della legge nello stato di eccezione. In essa, Walter Benjamin contrappone a uno «stato di eccezione in cui viviamo» che «è la regola» un «vero stato di eccezione». Assunto questo punto di partenza, si è tentato, nel quarto capitolo, di elaborare una concezione della guerra civile che fosse utile per illuminare i rapporti tra Stato e diritto, in un’ottica di sostanziale continuità della guerra civile con l’esercizio del potere costituito: la guerra civile come stato di eccezione. Si è pervenuti a una concezione della guerra civile non nei termini dell’avvenuta perdita di controllo da parte del sovrano sulla società civile, o della dissoluzione della civitas, bensì come di uno dei modi del gerere rem publicam, una tecnica di esercizio del potere sovrano. Si è quindi aderito a una concezione dello stato di eccezione opposta a quella classica e vicina a quella tradizione che, da Marx, a Benjamin, a Korsch, individua in essa una condizione permanente. Abbiamo visto come la guerra civile non sia mai del tutto esclusa dalla vita politica e come il moderno Stato rappresentativo possa essere definito come l’ente che informa il conflitto civile, che definisce le parti in gioco, che sanziona le vittorie delle parti tramite il diritto e che può, in ogni caso, sospenderlo, ma che non ha interesse a mettervi fine. In questa ottica, il saggio giovanile Per la critica della violenza trova il suo epilogo nell'ottava delle Tesi sul concetto di storia, ultimo testo scritto da Benjamin prima della morte. Di più, l’individuazione nel rapporto mezzi-fini dell’architrave dell’ordine giuridico consente di fare della nozione di Aufgabe, che ritorna più volte nell'opera benjaminiana, un termine tecnico del lessico del filosofo tedesco che indica una prassi libera dalla strumentalità e dalla finalità, e, quindi, una prassi messianica.

Item Type:Doctoral Thesis (PhD)
Doctoral School:Humanities
PhD Cycle:29
Subjects:Area 11 - Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche > M-FIL/03 FILOSOFIA MORALE
Uncontrolled Keywords:Benjamin, Schmitt, stato di eccezione, guerra civile, sovranità popolare
Repository Staff approval on:08 Jun 2017 09:43

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