Le falsitĂ  e gli ostacoli alle autoritĂ  pubbliche di vigilanza: un'ipotesi di tutela penale delle funzioni

Infante, Enrico Giacomo (2003) Le falsitĂ  e gli ostacoli alle autoritĂ  pubbliche di vigilanza: un'ipotesi di tutela penale delle funzioni. PhD thesis, University of Trento.

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Abstract

La tesi dottorale in esame è il frutto di un lavoro di ricerca che ha preso le mosse da un tentativo di chiarificazione concettuale e di riconduzione ad unità sistematica e politico-criminale dell’insieme di incriminazioni in tema di falsità ed ostacoli agli Organi di vigilanza sui mercati finanziari che ha fatto la sua comparsa nel nostro ordinamento a partire dalla legge 216 del 1974. L’obiettivo originariamente perseguito era quello di accertare se la congerie di fattispecie in tema di false comunicazioni ed ostacoli alla Consob, alla Banca d’Italia, all’Isvap non fosse riconducibile – quanto a caratteristiche strutturali e a fondatezza politico-criminale – ad un “macrotipo” di cui le disposizioni che componevano la composita galassia in esame non costituissero che “variazioni sul tema”. Alla (prevedibile) risposta positiva al quesito sarebbe poi seguita l’analisi relativa alla compatibilità di tale unitaria tipologia criminosa con il “volto costituzionale” dell’illecito penale. Il tutto non poteva non essere preceduto dall’inquadramento di tale sotto-sistema (relativamente) nuovo per il nostro ordinamento nel quadro della tutela penale dell’informazione societaria. La comprensione della forma di tutela in esame non poteva che risultare parziale, infatti, se non ci si fosse chiesti come essa venisse a coordinarsi con le tradizionali incriminazioni in tema di false comunicazioni sociali e in che cosa, rispetto a queste, essa si sostanziasse in un quid pluris, quanto ad oggettività giuridiche ed a mezzi di tutela. La tesi dottorale in questione doveva, pertanto, necessariamente dedicare una particolare attenzione all’evoluzione della tutela penale dell’informazione societaria ed al maturare delle ragioni e delle condizioni che, con riguardo alla c.d. trasparenza dei mercati, suggerivano l’opportunità delle incriminazioni in esame. Il quadro normativo costituente l’oggetto dell’analisi è stato significativamente modificato con la recente riforma dei reati societari, la quale ha fatto venir meno, per “sopravvenuta mancanza di interesse”, l’esigenza di indagare la riconducibilità ad una figura unitaria delle varie figure criminose in tema di falsità ed ostacoli alle Autorità di vigilanza dei mercati finanziari. Lo stesso Legislatore ha risposto positivamente al quesito, sostituendo la gran parte delle precedenti fattispecie (e tra queste, le più importanti, gli artt.171 e 174 Tuif ed il 134 Tulb) con l’unica previsione di cui al novellato art.2638 c.c. Il “macrotipo nascosto” è definitivamente emerso. Ciò, peraltro, ha conferito alla ricerca un maggior interesse, atteso che, nel generale quadro di “disarmo” della tutela dell’informazione societaria, l’attuale art.2638 c.c. costituisce una delle pochissime disposizioni dotate di un certa “serietà” repressiva (perseguibilità d’ufficio, applicabilità delle misure cautelari, assenza di soglie di punibilità). E che tale figura delittuosa meriti un esame approfondito emerge con ancor maggior incisività là dove si ponga in evidenza come essa si risolva in un’ipotesi di tutela penale delle funzioni. La fattispecie in esame costituisce, infatti, un ulteriore caso di quella tecnica di tutela frutto dell’amministrativizzazione del moderno diritto penale la cui stessa legittimità è posta in discussione e che è al centro dell’attuale dibattito penalisitico. Questo è, del resto, il tema su cui maggiormente si incentra l’attenzione della ricerca. La tesi dottorale dedica il maggiore approfondimento all’analisi delle ragioni che militano a favore della predetta tecnica di tutela, e non soltanto nel campo dell’informazione societaria. Una volta imbattutosi in una “fattispecie ad offesa funzionale”, ci si è resi conto dell’ineludibilità della questione relativa alla legittimità della stessa. Inutile sarebbe stato indagare ulteriormente su un reato del genere senza prima rispondere al quesito se uno Stato sociale di diritto potesse far ricorso a tale tipologia criminosa. Tematica tanto più centrale là dove si ponga in rilievo l’ampiezza della tutela apprestata da tale disposizione che, alla luce delle genericità delle locuzioni utilizzate, potrebbe astrattamente legittimare interpretazioni espansive volte ad includere tutte le Amministrazioni nel novero dei soggetti passivi del reato. Una delle fattispecie ad offesa funzionale dotate di maggiore portata applicativa, dunque. Il punto centrale della tesi dottorale è senza dubbio rappresentato dalla risposta che in essa è fornita alla questione della legittimità della tutela di funzioni. Nella ricerca viene formulata una soluzione positiva al predetto quesito: la tematica de qua è ricondotta alla tradizionale categoria criminosa dei reati dei privati contro la Pubblica Amministrazione. Ben lungi dal costituire un’assoluta novità, le fattispecie ad offesa funzionale si rivelano essere nient’altro che una forma di tutele penale apprestata allo Stato “interventista”. La sua presunta novità non risiede, allora, nell’improvvisa emersione di una precedentemente sconosciuta tecnica di tutela, ma nel moltiplicarsi del ricorso alla stessa da parte di Stati che sempre più riconoscono come doveroso l’intervento dei pubblici poteri in ambito sociale ed economico. E se ciò, fino a pochi lustri or sono, si verificava nelle forme dello “Stato erogatore di pubblici servizi”, la crisi finanziaria del Welfare state richiede si verifichi nelle forme dello “Stato regolatore dei mercati”. E la tutela di tali forme di intervento regolatore, qualora si attui con lo strumento penale, prende nome di tutela penale delle funzioni. Nulla di diverso, dunque, da una tutela del buon andamento della P. A., nei confronti della quale le perplessità da più parte avanzate paiono essere la riemersione di mai sopiti vagheggiamenti di un diritto penale di stampo neo-liberista. All’autore certo non sfuggono i profili di frizione che tale tecnica di tutela presenta rispetto a vecchi (riserva di legge, determinatezza, colpevolezza) e nuovi offensività, nemo tenetur se detegere) principi di garanzia in materia penale, ma – e qui vi è un notevole sforzo dogmatico e politico-criminale – lo scopo perseguito è quello di escludere la radicale incompatibilità in astratto (rispetto, cioè, a tutte le possibile ipotesi di fattispecie ad offesa funzionale) della prima rispetto ai secondi, e di indagare quali possano essere in concreto tali casi di incompatibilità, cioè quali modelli criminosi che apprestano tutela penale alle funzioni pubbliche di controllo sono in insanabile conflitto con detti principi. L’obiettivo principale nell’opera risiede, dunque, nel tentativo di delineare al contempo “legittimità e limiti” della tecnica di tutela penale delle funzioni. Questo risulta essere il vero “filo rosso” della ricerca. Sotto l’angolo prospettico rappresentato dalla disamina dei vari elementi della previsione incriminatrice di cui al novellato art.2638 c. c., sempre viva è la preoccupazione di accertare se determinate forme di tutela penale delle Autorità pubbliche di controllo siano compatibili con il “volto costituzionale” dell’illecito penale. Nel tentativo di dimostrare una generale legittimità dell’intervento penale a tutela di funzioni, ma altresì di delinearne i limiti imposti dal rispetto dei fondamentali principi di garanzia, si contesta che le fattispecie ad offesa funzionale si risolvano in delitti di mera infedeltà, si formulano distinzioni in tema di rinvio ad atti della P.A. (riconosciuto legittimo soltanto per quelli aventi natura provvedimentale), si afferma l’incostituzionalità dell’equiparazione edittale tra diverse tipologie di offesa alle pubbliche funzioni, si afferma la piena operatività del nemo tenetur se detegere anche in ambito sostanziale, si richiede la scientia juris quale componente del dolo per le fattispecie “a condotta neutra”. Un’opera in cui ci si sforza di superare la netta contrapposizione tra “apocalittici ed integrati” in tema di fattispecie “ad offesa funzionale” nel tentativo di delinearne la compatibilità sistemica e, nel contempo, i limiti della stessa. Il tutto nel quadro di una approfondita analisi dell’art.2638 c. c., che ne pone in luce il quadro di interrelazioni rispetto ai riformati reati societari, attestandone – come già visto – una “centralità” (in termini sanzionatori e di efficacia repressiva) che induce a ritenere, per il futuro, una presenza nel “diritto vivente” di tale fattispecie meno sporadica di quella che ha sinora caratterizzato i suoi predecessori.

Item Type:Doctoral Thesis (PhD)
Doctoral School:Comparative and European Legal Studies
PhD Cycle:XIV
Subjects:Area 12 - Scienze giuridiche > IUS/17 DIRITTO PENALE
Repository Staff approval on:11 Jul 2012 12:49

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